Biography

Francesca Strino

  

  Francesca Strino è nata a Napoli nel ’79, figlia d’arte, ha iniziato gli studi al Liceo Artistico e successivamente si è laureata all’Accademia di Belle Arti di Napoli presso la Cattedra di Scultura diretta dal Prof. G. Di Fiore con una tesi sul ritratto che ha portato i suoi lavori alla crazione di una esposizione nel 2002 per la celebrazione del 250° Anniversario della Fondazione dell’Accademia.

Il suo primo riconoscimento artistico è stato nel’96 con il premio “Ars e Technè” del Comune di Quarto Flegreo. Nel ’98 ha partecipato alla mostra “ Il sentiero degli dei “ per il Comune di Agerola a cura del Prof. M. Bignardi sotto il patrocinio della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Napoli e Provincia.
Nel ’99 espone al “ Positano Work – scultura 99 “ a cura del Comune di Positano e dell’Accademia di Belle Arti di Napoli con una serie di lavori scultorei esposti in vari luoghi della Città.

Nel 2000 vince il premio “ Il tempo, grande scultore “ presso l’Istituto Italiano per gli studi Europei del Comune di Giugliano in Campania.

La passione per la pittura però ha prevalso nella sua espressività artistica, portandola ad essere presente con le sue opere in molte Gallerie d’Arte in Italia ed all’estero con mostre personali tra le quali la “Galleria Russo” di Sorrento, la “Barcaccia” di Salerno, la “Decumanus” di Napoli, la “A/P” di Napoli, la “Michelangelo” di Ischia, la “Gladis Art Gallery” di Taormina, la “Addison Gallery” di Boca Ratom (Florida), la “Farmilo Fiumano” di Londra, la “Atenea’s” di Madrid.

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C’è un passaggio intermedio che coagula e sintetizza in arte il senso della vita. Può essere la fase tra progetto e realizzazione, prodromica dell’opera come giunge ai nostri occhi. Per Francesca Strino, flegrea di nascita – quindi vulcanica – formatasi in quell’Accademia, diretta da Gianni Pisani, in un’epoca di grandi fermenti artistici, il passaggio si trasforma in un “oltre” declinato su più piani: dimensionale, artistico, materico, semantico. Il suo approccio all’opera è l’incontro/scontro tra il laboratorio accademico di scultura (Gerardo Di Fiore, Salvatore Vitagliano) e l’apprendistato ritrattistico di famiglia. Attraverso il ritratto la Strino inizia il viaggio di indagine sulle persone, sciogliendole nelle loro componenti fisiche: una grande sfida per raccontare in un’unica immagine tutta la complessità del soggetto ritratto, che attraverso la sensibilità di Francesca recupera un’anima, consegnando alla percezione dell’osservatore l’elaborazione di una storia che va oltre la dimensione pittorica. Ai di fuori di ogni canone metartistico o filosofico, Francesca Strino ci offre la sua Opera Aperta, nella pluralità di significati e visioni che il critico o il semplice spettatore vorrà dare: alla base c’è l’attenzione all’anatomia, all’armonia delle forme, un perfezionismo sulla tecnica che consente, attraverso la rappresentazione pittorica della realtà, di dare vita alla tela. Dell’immortalità attraverso l’arte ha parlato Roland Barthes, scritto Edgar Allan Poe, ma anche lo stesso Oscar Wilde per il Ritratto di Dorian Gray. Per giungere all’Opera Aperta di Umberto Eco. Il dipinto come vita esistente, dunque? Francesca Strino utilizza l’illusione del realismo per uscire dalla bidimensionalità, oltrepassare il limite della tela ed entrare in una terza dimensione, quella della scultura, con la tecnica dell’altorilievo. Chi vede il quadro entra nella sua vicenda artistica, partecipa: ed ecco che in un nanosecondo la visione regala anima a volti, corpi, angeli che volano fino a percepirne quasi il fruscio delle ali. Francesca focalizza in un elemento, quell’elemento che lo spettatore andrà a guardare, il “punctum” barthesiano, ovvero il momento in cui l’immagine agisce sulla memoria. La barriera sensoriale è superata: dai quadri fuoriescono conchiglie, dita e mani che è possibile toccare e stringere. E’ il momento di contatto con il fruitore che consente all’opera di prender vita, respirare, far sentire la sua anima. Abbiamo oltrepassato la soglia: le metamorfosi, da Ovidio a Kafka, ci raccontano il passaggio di una persona che diventerà altro. Il quadro scava, l’artista elabora, l’opera ci riconsegna una realtà che ci fa interrogare sulla nostra stessa natura. Nell’anàbasi della Strino l’interpretazione della natura in chiave romantica è affidata al dato magico, misterioso, con gocce che salgono in cielo, animali e trasfigurazioni: l’aurora boreale diventa una donna, le comete nascono da un bacio tra un uomo e una donna, un uccello rivela la sua anima umana L’opera, dunque, esce dalla sua bidimensionalità, incontra la scultua e acquisisce uno spazio in più, diventa palcoscenico, rappresentazione. Un percorso che ci attendiamo ricco anche di suoni, aromi, citazioni letterarie, tutte armonicamente inserite in un contesto architettonico. D’altronde l’unione delle arti non è sempre stata la sfida più affascinante?
Francesco Bellofatto
Giornalista

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